00 21/11/2014 12:59
L-130: Un giorno di saluti dolci-amari e… cuscinetti assorbenti
INVIATO IL 17 LUGLIO 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Johnson Space Center (Houston, USA), 17 luglio 2014—Ieri è stato il giorno dei saluti… saluti molto speciali. Quanto spesso accade che possiate dire “ci vediamo nello spazio fra qualche mese?”…

Prima Terry e io abbiamo detto arrivederci a Butch dopo un’ultima lezione di robotica insieme… la prossima volta che lo vedremo sarà a novembre in MRM 1, il modulo della Stazione Spaziale a cui attraccheremo con la nostra Soyuz. Più tardi nel pomeriggio Sasha ed Elena sono venuti a salutarci, scherzando che li vedremo al “controllo doganale” prima che ci sia permesso di entrare nella Stazione.

Queste persone sono state parte del mio mondo per anni—ogni volta che mi trovavo a Houston o in Russia o in Europa o in Giappone, a seconda di cosa prevedevano i nostri rispettivi impegni, uno o più di loro poteva essere “in città” nello stesso momento. Beh, non saremo più insieme in città prima di ricongiurgerci nello spazio.

Butch, Elena e Sasha partiranno a settembre, quindi mi aspettavo che questo momento arrivasse presto. Ma abbastanza sorprendentemente, sembra che io abbia detto il mio arrivederci anche a Scott, che vedrò ancora sulla Stazione quando si unirà a noi il prossimo marzo. Se abbiamo ricordato le nostre agende correttamente, per i prossimi quattro mesi ci mancheremo l’un l’altra intorno al pianeta, arrivando “in città” quando l’altro è appena partito.

Oltre a dare abbracci dolci-amari, ieri ho avuto una giornata di addestramento piena con molte attività brevi che sono andate dalle apparecchiature radioamatoriali alla robotica, dall’acquisizione di immagini della retina alla diagnostica dei problemi di rete LAN. Un’attività molto “diversa” che ho avuto è stata l’addestramento alla sensibilità dell’HAP. L’HAP è il cuscinetto assorbente che ora inseriamo nel casco di una tuta da passeggiata spaziale per aiutare a ridurre il rischio di una situazione di perdita d’acqua, come quella che è capitata a Luca l’anno scorso.

Proprio come abbiamo controlli dei guanti previsti nelle timeline delle nostre EVA per verificare periodicamente che non ci siano danni, ora abbiamo controlli periodici dell’HAP, quando ai membri dell’equipaggio viene chiesto di “sentire” l’HAP dietro la loro testa e riferire eventuali variazioni. Per farsi un’idea di quale sensazione darebbe l’HAP intriso di diverse quantità d’acqua, ora abbiamo questo addestramento alla sensibilità dell’HAP. Abbiamo aggiunto progressivamente più acqua fino a quando, intorno a circa 150-200ml, mi sono sentita fiduciosa che sarei stata in grado di sentire la presenza di fluido nell’HAP. Poi siamo passati alla massima quantità—circa 600ml, ed è quello che vedete nella foto. L’HAP si ispessisce significativamente a quel punto e spinge realmente la vostra testa in avanti verso la parte anteriore del casco.

Naturalmente, non lo lasceremmo arrivare così avanti. Ora abbiamo procedure previste per fermare l’accumulazione di acqua nel casco!

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/07/17/l-130-un-giorno-di-saluti-dolci-amari-e-cuscinetti-ass...

L-129: Nella camera ipobarica: l’esperimento Airway Monitoring
INVIATO IL 18 LUGLIO 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Johnson Space Center (Houston, USA), 18 luglio 2014—Ieri ho avuto la mia seconda sessione di BDC (raccolta di dati di riferimento) per l’esperimento ESA Airway Monitoring [monitoraggio delle vie aeree---N.d.T.]. Potete trovare qualche informazione sulle basi scientifiche in questa vecchia nota del diario dall’EAC, dove ho seguito il mio corso introduttivo.

Perché abbiamo bisogno di raccogliere dati pre-volo a terra? Beh, se volete capire gli effetti dell’assenza di peso su un fenomeno, dovete prima osservarlo in condizioni normali a 1G. Poi sarete in grado di confrontare quei dati con i dati che raccogliete nello spazio, e stabilire quali cambiamenti vengano indotti dalla microgravità.

Nel caso di Airway Monitoring, come potreste ricordare, siamo interessati a studiare lo scambio gassoso nei polmoni in due condizioni: pressione normale e pressione ridotta (10 psi, che è circa 2/3 della pressione atmosferica normale). Nello spazio faremo la misura a pressione ridotta nell’airlock, che depressurizzeremo di conseguenza… ma come facciamo a terra?

Questo è cio che rende la BDC di Airway Monitoring interessante: facciamo la BDC in una camera ipobarica, una struttura che viene usata tipicamente per l’addestramento all’ipossia che i piloti, i paracadutisti… gli astronauti seguono periodicamente. Nella camera potete ridurre progressivamente la pressione simulando il volo ad altitudini maggiori. I 10 psi a cui si punta sono grossomodo equivalenti a un’altitudine di 10.000 piedi [circa 3.000 m---N.d.T.].

Il primo tipo di misura è piuttosto semplice: devo espirare in un analizzatore che misurerà il contenuto di ossido di azoto (NO) della mia espirazione. NO è un marcatore dell’infiammazione aerea, ma visto che potrebbe esserci un po’ di NO nell’aria che respiro, devo anche inspirare attraverso un purificatore che lo rimuove. Ora siamo sicuri che qualsiasi NO misurato nella mia espirazione venga realmente dai mei polmoni!

Il secondo tipo di misura è un po’ più complicato ed è necessario per capire il ricambio dell’NO nel polmone: quanto NO viene realmente diffuso nel mio sangue, invece che espirato? Quì è dove abbiamo bisogno dell’attrezzatura Portable PFS [attrezzatura portatile PFS---N.d.T.]: inspiro da una sacca contenente una miscela di gas nota (comprendente NO e un gas inerte di tracciamento) e, quando espiro, la porzione centrale del mio respiro espirato viene raccolta in un’altra sacca e analizzata.

Questo esperimento è interessante sia dal punto di vista della scienza fondamentale, sia per le applicazioni nello spazio e a terra. In termini di conoscenza, migliorerà la nostra comprensione di come operino i polmoni e la funzione respiratoria. Questo ci aiuterà a diagnosticare e curare le malattie del polmone: pensate per esempio che oltre 300 milioni di persone in tutto il mondo soffrono di asma, e in alcune regioni del mondo la patologia non viene spesso diagnosticata.

Per l’esplorazione dello spazio, è veramente importante capire cosa accade ai polmoni degli astronauti durante il volo spaziale di lunga durata. Siamo portati a inalare molte piccole particelle che fluttuano nell’aria in microgravità, mentre sulla Terra cadono al suolo—pensate solo a quanto rapidamente la polvere può accumularsi nella vostra casa (o almeno lo fa nella mia!)

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/07/18/l-129-nella-camera-ipobarica-lesperimento-airway-mon...

L-128: Piante, geni e spazio… scienza interessante!
INVIATO IL 20 LUGLIO 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Houston (USA), 19 luglio 2014—Riguardando le foto della settimana scorsa, ne ho trovate un paio di una breve attività di addestramento all’esperimento APEX-03, e ho pensato di condividere qualche parola nella nota del diario di oggi.

Questo esperimento sulle piante utilizza, come soggetto, l’Arabidopsis Thaliana [nota anche come arabetta comune---N.d.T.], una classica pianta modello per la ricerca. Visto che sappiamo molto sulla biologia molecolare dell’Arabidopsis, è il candidato perfetto per osservare quali cambiamenti vengono indotti dall’ambiente del volo spaziale. Infatti, è stato evidenziato che l’espressione dei geni cambia in risposta all’assenza di peso, portando a modifiche alla struttura delle radici, alla crescita e al rimodellamento della parete cellulare nello spazio.

Per APEX-03, delle piantine di Arabidopsis verranno fatte volare nello spazio in delle capsule di Petri, avvolte in un panno scuro per evitare l’esposizione alla luce prima che inizi l’esperimento. Le capsule saranno quindi inserite nell’apparecchiatura Veggie per la crescita—e qui c’è qualche informazioni sulla Veggie.

Campioni diversi verranno fatti crescere per differenti numeri di giorni, prima che i membri dell’equipaggio documentino fotograficamente lo stato finale ed eseguano le operazioni di raccolta e fissaggio. Non è un compito difficile, ma richiede una certa attenzione: le radici sono molto delicate e non volete davvero danneggiarle quando le prendete con il forcipe dal loro substrato nutritivo gelatinoso per inserirle nella provetta di fissaggio (che potete vedere nella foto). Una volta al sicuro all’interno, montate un attuatore e iniziate a ruotare una maniglia per muovere un pistone all’interno della provetta. Questo riempie la camera contenente i campioni di pianta con un conservante chimico che congela lo stato molecolare della pianta.

Le provette vengono poi conservate nel freezer MELFI fino a quando possono essere riportate sulla Terra per l’analisi post-volo.

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/07/20/l-128-piante-geni-e-spazio-scienza-inter...

L-122: Usare il trapano, saldare e riparare i connettori elettrici…
INVIATO IL 25 LUGLIO 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Johnson Space Center (Houston, USA), 25 luglio 2014—Questa è stata una di quelle settimane nell’addestramento degli astronauti in cui mi sono sentita come una bambina in un campeggio estivo. Ho avuto l’opportunità di passare tre giorni interi all’aeroporto Ellington Air Field, dove è dislocata la flotta di T-38 della NASA, addestrandomi ai compiti di manutenzione di base con gli incredibili meccanici che riparano quei jet e si accertano che sia sicuro volarci. Una grande opportunità di ripassare alcune abilità e imparare molti nuovi trucchi. Incidentalmente, mi sono divertita un sacco!

C’è qualcosa di divertente e gratificante nel lavoro meccanico: immagino che sia una combinazione di abilità manuale, conoscenza degli attrezzi e dei materiali e il piacere umano di base che deriva dal costruire qualcosa o ripararlo.

A ogni modo, naturalmente non ero lì per il mio divertimento. Facciamo molto lavoro di manutenzione sulla Stazione Spaziale. È un veicolo estremamente complesso e l’equipaggiamento richiede una manutenzione preventiva periodica e, occasionalmente, una manutenzione correttiva per riparare un guasto. Il flusso di addestramento sulla ISS comprende un certo numero di corsi di manutenzione, in cui acquisiamo familiarità con gli attrezzi che abbiamo a bordo, il modo in cui sono scritte le procedure di manutenzione, cosa i controllori a terra si aspettano in termini di comunicazione e interazioni, e alcune attività di manutenzione tipiche.

Questo Field Maintenance Training [addestramento alla manutenzione sul campo---N.d.T.] è un’aggiunta piuttosto recente ed è intesa come un’esperienza immersiva, in cui fate molta pratica manuale e… beh, imparate dai migliori. È in realtà un corso di due settimane, ma sfortunatamente non ci sarebbe alcun modo di trovare due settimane nella mia agenda in questo periodo, a quattro mesi dal lancio. Ma visto che ero desiderosa di farlo, che il corso è molto flessibile, e che ho dei pianificatori stellari, ho potuto partecipare per tre giorni interi.

Il primo giorno sono stata nelle officine di avionica facendo pratica con le abilità di saldatura, utilizzo del tester e lavoro sui connettori elettrici, per esempio la rimozione e l’installazione dei piedini. Ho diviso il resto del tempo fra le officine delle batterie e delle lamiere, facendo pratica con cose come usare il trapano, martellare, rivettare, piegare il metallo, rimuovere bulloni con la testa spezzata. Quest’ultima cosa, mi auguro veramente che non accada sulla ISS: cercare di trapanare attraverso un bullone d’acciaio non è divertente nemmeno a terra, e deve essere molto impegnativo in assenza di peso!

L’ultima volta che ho fatto qualcosa di simile, avevo 19 anni e stavo seguendo uno stage di 6 settimane sulla lavorazione dei metalli in un’officina per l’apprendistato meccanico a Monaco, un requisito per iniziare i miei studi di ingegneria… non avrei mai pensato che, 18 anni dopo, avrei fatto pratica da astronauta nel filettare con gli appositi attrezzi, e forse farlo sulla Stazione Spaziale. Non è straordinario?

Foto: sto cercando di fare una foto di un dettaglio difficilmente accessibile e male illuminato. I controllori a terra sono il secondo paio di occhi per i nostri compiti di manutenzione della ISS… ma visto che non possiamo portarli lassù, è veramente importante essere in grado di documentare fotograficamente il nostro lavoro.

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/07/25/l-122-usare-il-trapano-saldare-e-riparare-i-connettori-el...

L-118: La prima cosa che cercherò arrivando sulla ISS
INVIATO IL 29 LUGLIO 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Star City (Mosca, Russia), 29 luglio 2014—Di nuovo a Star City, dopo essere tornata in Europa da Houston a aver fatto una breve tappa a casa nel weekend.

È ora di immergersi di nuovo nel mondo Soyuz, almeno per le prossime tre settimane! Ma prima, vorrei parlarvi di un ultimo corso che ho avuto la settimana scorsa al Johnson Space Center, prima di lasciare Houston.

È un corso non obbligatorio che i membri dell’equipaggio possono richiedere se sentono la necessità di ripassare uno degli equipaggiamenti più importanti a bordo, e probabilmente il primo che vorrò usare dopo il mio arrivo. È il Waste and Hygiene Compartment (WHC) [compartimento dei rifiuti e dell’igiene---N.d.T.]: per gli amici, la toilette spaziale.

Il WHC è contenuto in un rack standard, uno degli elementi inclinabili installati uno accanto all’altro lungo le quattro pareti di ogni modulo USOS. Tutti i componenti—la pompa, la ventola, le tubazioni, i serbatoi, i filtri, ecc.— sono nascosti dietro i pannelli. Davanti ai pannelli, ma ancora contenute nel volume del rack standard, ci sono le interfacce utente: un imbuto giallo con un tubo flessibile per l’urina e un serbatoio per i rifiuti solidi con un foro nella parte superiore, su cui è montato un “sedile”

Davanti al rack, spuntando fuori nel volume libero del Nodo 3, c’è la cabina del WHC, che offre un po’ di privacy.

[IMG]http://i60.tinypic.com/m7s3lu.jpg[/IMG]

Il WHC ha un pannello di controllo con abbastanza interruttori, bottoni e LED da farvi pensare che le toilette giapponesi siano noiose (non lo sono). In effetti come utente, quando entrate, volete dare un’occhiata al pannello principale per assicurarvi che le spie rispecchino una delle configurazioni attese. Sono tre o quattro LED verdi, a seconda di dove va l’urina. Per la maggior parte del tempo l’urina fluisce direttamente verso l’Urine Processing Assembly [impianto per il trattamento dell’urina---N.d.T.] per essere trattata, e quindi viene mandata al Water Processing Assembly [impianto per il trattamento dell’acqua---N.d.T.] per essere trasformata in acqua potabile. Tuttavia a volte, per esempio se l’UPA è in corso di manutenzione, l’urina può invece essere inviata verso un serbatoio rimuovibile.

Come potete immaginare, il pannello ha anche un certo numero di spie rosse che possono accendersi per indicare un malfunzionamento o semplicemente la necessità di qualche azione: sostituire un serbatoio di urina pieno, per esempio; o rabboccare il serbatoio dell’acqua di scarico.

L’intero sistema è basato sul flusso d’aria che porta i rifiuti liquidi e solidi lontano dal corpo e nei rispettivi serbatoi di raccolta. Quindi, la prima cosa che facciamo per usare la toilette è accendere la ventola che crea il flusso d’aria direzionale. L’urina viene raccolta attraverso un imbuto ed è miscelata con l’acqua di scarico e un agente chimico prima di essere inviata all’UPA o al serbatoio. I rifiuti solidi sono raccolti in sacchetti monouso installati nel ricettacolo per i rifiuti solidi—dopo ogni utilizzo, viene preparato un nuovo sacchetto pulito per il prossimo utente, mentre quello consumato deve essere messo nel serbatoio proprio sotto il “sedile”. Sulla Terra, cadrebbe semplicemente giù. Nello spazio, richiede un po’ di instradamento: certo, come sento dire, non è la parte più glamour del vivere nello spazio.

Avete probabilmente intuito che il malfunzionamento che potenzialmente creerebbe un vero pasticcio è una perdita di alimentazione elettrica durante l’uso, visto che il flusso d’aria si interromperebbe e non ci sarebbe nulla per portare i rifiuti nella giusta direzione. L’azione immediata: chiudere il coperchio del “sedile” e mettere il tappo al ricettacolo dei rifiuti liquidi! Poi potete preoccuparvi del resto della soluzione del problema.

Foto: NASA/Expedition 31

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/07/29/l-118-la-prima-cosa-che-cerchero-arrivando-su...

L-116: Conoscete i colloidi?
INVIATO IL 31 LUGLIO 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Star City (Mosca, Russia), 31 luglio 2014—Sono appena tornata da un briefing sulla simulazione di incendio che avrò nel pomeriggio con Anton e Terry. Abbiamo già avuto una volta questo tipo di addestramento l’anno scorso, durante il nostro flusso di attività come equipaggio di backup, come ho riferito in queste note del diario del dicembre scorso, L-348 e L-345.

Visto che ho già raccontato questa storia, lasciatemi dedicare qualche parola a un esperimento su cui mi sono addestrata a Houston un paio di settimane fa e di cui non vi ho ancora parlato. È chiamato BCAT, che sta per Binary Colloidal Alloy Test [test delle miscele colloidali binarie---N.d.T.].

Un colloide è uno speciale tipo di soluzione, in cui minuscole particelle, così piccole che non potete vederle a occhio nudo, sono disperse uniformemente in un’altra sostanza. La schiuma, per esempio, è un tipo di colloide: delle piccole particelle di gas sono intrappolate in un liquido o in un solido. Se sono particelle liquide disperse in un liquido, parliamo di emulsioni: il latte è un esempio comune.

Sono già stati eseguiti diversi cicli di BCAT sulla ISS. Questo tipo particolare, BCAT-KP (Kinetic Platform) [piattaforma cinetica---N.d.T.], riguarda la cinetica della separazione di fase. Avrete sentito parlare dei cambiamenti di fase a scuola, ne sono sicura: abbiamo tutti imparato le trasformazioni delle sostanze fra la loro fase solida, liquida o gassosa (ghiaccio, acqua, e vapore acqueo, per esempio). Ora, i cambiamenti di fase nei colloidi sono molto più complicati. Sono anche molto interessanti sia dal punto di vista della scienza fondamentale, sia per le applicazioni commerciali immediate (detergenti, vernici, inchiostri, medicine,…). Infatti, un’importante azienda privata è proprietaria di alcuni dei campioni del BCAT-KP! Migliori conoscenze sui colloidi potrebbero condurci a nuovi modi di produrre la plastica o aiutare ad allungare la durata di alcuni prodotti di consumo.

Diciamo che siamo interessati alla stabilità di un colloide: quanto tempo ci vorrà alle particelle disperse, interagendo l’una con l’altra, per raccogliersi insieme, separando le due fasi? Che tipo di strutture formeranno quelle particelle? Queste sono solo alcune delle domande a cui sono interessati gli scienziati. E sebbene stiamo studiando i colloidi sulla Terra da lungo tempo, c’è ancora molto che non conosciamo perché, indovinate un po’, gli effetti indotti dalla gravità sono più forti delle interazioni fra le particelle, per esempio le interazioni elettrostatiche. Sostanzialmente, se le particelle sono più dense della sostanza in cui sono disperse, migreranno verso il fondo—questa è chiamata sedimentazione. Se è vero il contrario, migrerano verso la superficie—e questa è chiamata scrematura.

Niente di tutto questo accade nello spazio!

L’esperimento BCAT consiste di un’unità che può contenere 10 campioni, testati uno a uno. Quando è il momento di esaminarne uno, i membri dell’equipaggio useranno una calamita per omogeneizzare il campione, vale a dire miscelarlo in modo che le particelle disperse siano uniformemente distribuite. Quindi prepareranno una macchina fotografica, in modo che scatti automaticamente una foto a intervalli preimpostati e la scarichi a terra per l’analisi.

Ogni campione viene osservato per una settimana ed è molto importante non urtare l’unità mentre è in corso l’esperimento. Ecco perché BCAT è installato in un’area di passaggio limitato, infilato fra l’airlock del JEM e la parete anteriore.

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/07/31/l-116-conoscete-i-colloidi/

L-115: Come funziona la maschera antigas… e come è migliorata!
INVIATO IL 1 AGOSTO 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Star City (Mosca, Russia), 1 agosto 2014—Come ho detto, ieri Anton, Terry e io abbiamo avuto l’occasione di ripetere la simulazione di evacuazione per incendio nell’ambito del nostro addestramento di familiarità come equipaggio primario. Avevo parlato della prima simulazione lo scorso dicembre (Vedete L-345).

Una delle cose che sono cambiate, in meglio, visto che l’abbiamo fatto nel nostro flusso di backup, è che ora abbiamo una maschera a ossigeno migliorata nel segmento russo. Per capire come sia migliorata, è utile sapere come lavora realmente. Per favore, fate riferimento alla figura. La maschera russa ИПК è un sistema autocontenuto, quindi qui non c’è nessun filtraggio. Il contenitore verdastro collegato alla maschera stessa attraverso un tubo contiene una sostanza che reagirà chimicamente con il vostro respiro esalato, per rimuovere la CO2 e aggiungere ossigeno.

Quando siete pronti a mettere la maschera antigas, dovete fare un respiro profondo e trattenerlo mentre la indossate. Poi espirate nella maschera per avviare la reazione nel contenitore. L’aria espirata passa attraverso la sostanza chimicamente attiva nella sacca, quando inspirate la porterete verso i vostri polmoni. Saprete che qualcuno sta respirando correttamente attraverso la maschera perché vedrete la sacca gonfiarsi e sgonfiarsi con le espirazioni e le inspirazioni.

Se vi capita di fare uscire l’aria fuori dalla sacca, non sarete in grado di compiere il prossimo respiro. Molto probabilmente avete spinto quell’aria nel cappuccio, quindi dovete togliere la maschera dalla bocca, respirare nuovamente quell’aria dal volume del cappuccio, ed espirarla ancora nella sacca per tornare al vostro ciclo normale.

La reazione chimica è esotermica, quindi l’aria diventa piuttosto calda. E qui c’è il grande miglioramento rispetto al modello precedente: c’è uno scambiatore di calore (il piccolo elemento metallico a metà strada lungo il tubo) che raffredda l’aria a circa 37°C, molto più fredda di prima. È soprendente quanta differenza abbia fatto nel nostro livello di comfort ieri!

Ci si aspetta che la maschera russa duri fra i 20 e i 140 minuti, un ampio intervallo che considera la diversa corporatura delle persone e i differenti livelli di attività. In media, durerà circa 40 minuti.

Per confronto, nel segmento USOS abbiamo maschere che dispongono del loro piccolo serbatoio di ossigeno. Sono molto più veloci da mettere e più pratiche da indossare ed essere usate per lavorare, ma rimarrete senza ossigeno dopo circa 7 minuti. Se necessario, potreste collegarle attraverso un tubo alle prese per l’ossigeno della Stazione, sebbene questo limiti la mobilità.

Foto: indossare la tuta Sokol tenendo la maschera antigas. Simulazione della contaminazione dell’atmosfera ed evacuazione della ISS a causa di un incendio in corso.

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/08/01/l-115-come-funziona-la-maschera-antigas-e-come-e-mig...

L-110: Un’ultima volta nella mia tuta Sokol prima di Baikonur
INVIATO IL 6 AGOSTO 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Star City (Mosca, Russia), 6 agosto 2014—Il flusso di addestramento dell’equipaggio primario a Star City continua con molte attività di padronanza dei vari aspetti della missione sulla Soyuz e sul segmento russo della ISS. Ho sessioni regolari di pilotaggio manuale, sia dell’attracco che della discesa. Ho scritto quelle storie in alcune note precedenti del diario, per esempio L-357 e L-223.

Periodicamente ho delle lezioni di ripasso sui vari sistemi, che sono anche un’occasione per illustrare eventuali cambiamenti recenti. E naturalmente Terry, Anton e io passiamo un bel po’ di tempo nel simulatore Soyuz.

Ieri sono andata per l’ultima volta da Zvezda, l’azienda che fabbrica le tute Sokol, i rivestimenti dei seggiolini, tutte le tute di sopravvivenza e gli indumenti per i climi freddi e l’atterraggio in acqua. Niente è cambiato nella mia tuta Sokol da quando l’ho indossata l’ultima volta a Baikonur, ma questo controllo finale può individuare eventuali variazioni nella corporatura di un membro dell’equipaggio. Visto che il mio peso è rimasto lo stesso, abbiamo fatto solo una verifica veloce. È stato in realtà veramente bello essere ancora nella mia tuta Sokol: visto che sono piccola, in genere a Star City ricevo tute più grandi per l’addestramento. È bello farsi ricordare le sfide di indossare e togliere una tuta che è realmente della mia taglia!

Ora mi sto preparando a una simulazione Soyuz di sei ore: oggi nessuna abbreviazione o salto delle porzioni del profilo di volo non molto interessanti, piloteremo in realtà una timeline nominale dal lancio all’attracco.

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/08/06/l-110-unultima-volta-mia-tuta-sokol-prima-b...

L-108: Depressurizzazione… quando c’è una falla sulla ISS
INVIATO IL 8 AGOSTO 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Star City (Mosca, Russia), 8 agosto 2014—Sono appena tornata da una sessione di attracco manuale e ora è il momento di prepararsi a una simulazione Soyuz di 4 ore nel pomeriggio con Terry e Anton: faremo pratica con lo sgancio e il rientro e sono sicura che, come al solito, avremo un sacco di malfunzionamenti a tenerci impegnati!

Ieri abbiamo passato il pomeriggio nei mockup del segmento russo per una simulazione di emergenza di 4 ore in cui abbiamo lavorato a cinque scenari di depressurizzazione con diverse localizzazioni e tassi di perdita. In uno scenario, la perdita era nel modulo di discesa della Soyuz: in un caso simile, dovremmo seguire una procedura per preparare la Soyuz a uno sgancio e un rientro senza equipaggio, prima di chiudere il portello e lasciarla depressurizzare fino al vuoto. Fino a quando fosse possibile inviare un veicolo di soccorso, rimarremmo a tutti gli effetti “confinati” sulla ISS.

In un altro caso la falla era nel Modulo di Servizio, richiedendoci di abbandonare il cuore del segmento russo, ma anche obbligando l’equipaggio attraccato al modulo MRM2 (sarebbe l’altro equipaggio di 3 persone) a lasciare la ISS—con il Modulo di Servizio depressurizzato, sarebbero tagliati fuori dalla loro Soyuz se rimanessero.

Potete leggere di più su come localizzare una perdita in questa nota del diario dal nostro addestramento alla depressurizzazione nella camera a vuoto.

Nella foto potete vedere lo strumento principale per la misurazione della pressione che utilizziamo durante uno scenario di depressurizzazione: è portatile ed è più preciso di tutti gli altri sensori che abbiamo sulla stazione. Lo chiamiamo con l’acronimo russo MV (МВ = мановакуметер).

Nel caso di un allarme depressurizzazione, dato manualmente dall’equipaggio o automaticamente dai computer di bordo, la risposta automatica del veicolo spegne completamente la ventilazione e, nel segmento russo, inizia un algoritmo per cercare di localizzare la perdita usando i dati dei sensori di flusso d’aria situati presso i portelli. Questo richiede circa 5 minuti, durante i quali ci ritiriamo nei nostri rispettivi veicoli Soyuz per evitare di influenzare il flusso d’aria e, visto che ci siamo, per controllare che non sia la Soyuz stessa che stia perdendo. Calcoliamo anche immediatamente il nostro tempo di riserva, che è il tempo che abbiamo a disposizione prima che la pressione diventi troppo bassa e siamo costretti a evacuare. I computer russi e i controllori a terra calcoleranno anche loro il tempo di riserva, ma noi facciamo i nostri calcoli approssimati usando i grafici che vedete nella foto, basati sul tempo richiesto alla pressione per diminuire di 1 mm.

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/08/08/depressurizzazione-quando-ce-un...

L-103: La Soyuz vi può far girare la testa!
INVIATO IL 13 AGOSTO 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Star City (Mosca, Russia), 13 agosto 2014—È una bellissima settimana d’estate qui a Star City e Terry, Anton e io stiamo mantenendo la nostra familiarità con tutto quello che è Soyuz. Ho avuto sessioni di addestramento all’avvicinamento manuale, all’attracco manuale e alla discesa manuale e oggi eravamo tutti e tre di nuovo insieme nel simulatore Soyuz.

Abbiamo pilotato un profilo di rendezvous e attracco, la prima volta come parte di un volo nominale, che richiede 6 ore (4 orbite) dal lancio all’attracco. La seconda volta abbiamo simulato l’essere passati al vecchio profilo di volo in due giorni a causa di qualche malfunzionamento.

Se vi state chiedendo cosa faremmo per due giorni, aspettando il rendezvous con la Stazione… beh, non sono sicura di come decideremmo di ammazzare il tempo, ma una cosa è certa: per la maggior parte del tempo staremmo girando! Infatti, quando non ci sono operazioni dinamiche (vale a dire: non c’è nessuna necessità di accendere i razzi di manovra o il motore principale), la Soyuz viene messa in stabilizzazione giroscopica con i pannelli solari puntati verso il Sole per massimizzare la produzione di energia. In realtà non è la cosa più bella per l’equipaggio: qualsiasi mal di spazio stiate provando, è garantito che la rotazione lo faccia peggiorare (o vi dia i sintomi, se non li avete ancora). Ma a meno che non stabilizziate attivamente l’assetto con i razzi di manovra, l’unico modo di mantenere un orientamento stabile è ruotare intorno a un asse.

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/08/13/la-soyuz-vi-puo-far-girare-l...

L-102: Se il motore della Soyuz perde elio… non è un buon segno
INVIATO IL 14 AGOSTO 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Star City (Mosca, Russia), 14 agosto 2014—Oggi di nuovo nel simulatore Soyuz con Terry e Anton, questa volta indossando la Sokol per provare una discesa d’emergenza dopo lo sgancio dal boccaporto.

Questi scenari sono sempre molto intensi ma, d’altra parte, un po’ più brevi di una normale discesa, perché ci affrettiamo a cogliere una prima opportunità di attivare il motore per un’accensione di frenata, circa 40 minuti dopo avere aperto i ganci per separarci dalla ISS.

Oggi abbiamo cominciato con una perdita nella Soyuz, a cui abbiamo aggiunto un secondo guasto che, di per sé, avrebbe portato a una discesa d’emergenza: una depressurizzazione delle condutture dell’elio ad alta pressione. Non ci sono pompe nel sistema di propulsione della Soyuz: è un progetto semplice e robusto che utilizza elio ad alta pressione per pressurizzare i serbatoi del propellente. Se l’elio inizia a sfuggire, dobbiamo attivare il motore prima che la pressione diventi troppo bassa per l’accensione di deorbitazione.

Così, con un modulo di discesa che perdeva e una fuga dai serbatoi di elio, eravamo pronti a un rientro balistico utilizzando il Programma 5, che ho spiegato in questa nota precedente del diario.

Eccetto che Dima, il nostro diabolico istruttore, ci ha anche gettato addosso un guasto al computer principale, così abbiamo dovuto tornare a pilotare il nostro rientro balistico con il cosiddetto “circuito analogico”—è il vecchio computer delle serie precedenti della Soyuz, che lascia molto lavoro all’equipaggio e ha meno controlli automatici preimpostati. La cosa principale: avete bisogno di costruire l’assetto e accendere il motore manualmente e, se il motore si guasta, dovete spegnerlo manualmente e attivare i thruster [razzi di manovra—N.d.T.] di backup.

Oggi ci è capitato un guasto al motore così presto nel corso dell’accensione, che abbiamo tenuto accessi i thruster per oltre mezz’ora (invece dei 3 minuti e 41 secondi nominali) e siamo finiti a separarci dal modulo di servizio per mezzo dei sensori termici, invece che da comando… come tutto questo funziona, è una storia per un’altra nota del diario!

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/08/14/se-il-motore-della-soyuz-per...

L-100: Fra 100 giorni volerò nello spazio con Terry e Anton!
INVIATO IL 15 AGOSTO 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Star City (Mosca, Russia), 15 agosto 2014—100 giorni al lancio! Sì, lo so… la nota del diario di ieri era L-102: che succede?

No, la data del lancio non è cambiata, è sempre il 24 novembre. Ma all’1:57 del mattino ora locale di Baikonur!

Questo significa che sarà la sera del 23 novembre in Europa, che è la mia casa, quella della mia famiglia e di gran parte dei miei amici. Sarà il primo pomeriggio negli USA e la tarda serata a Mosca. E sarà il 23 novembre perfino sulla Stazione Spaziale, che segue il GMT [ora di Greenwich—N.d.T].

Ancora più importante, quando ci alzeremo al mattino (nella tarda mattinata) del 23 novembre, sarà a tutti gli effetti il giorno del lancio! La nostra ultima notte sulla Terra per sei mesi sarà dietro di noi e torneremo a dormire solo per un breve riposo nel pomeriggio, prima di lanciarci nella nostra grande avventura. Considerando tutto questo, ho deciso che oggi è L-100!

Non vedo l’ora di tornare a Baikonur e prepararmi a volare nello spazio. Il team laggiù sta già lavorando alla nostra nave Soyuz: potete vedere molti di loro nella foto, scattata pochi minuti dopo che l’equipaggio della Expedition 40 (Max, Reid e Alex) ci aveva salutati dalle scale della rampa di lancio lo scorso maggio. La prossima volta non saremo nella foto. O forse ci saremo, se inquadreranno anche la cima del razzo!

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/08/15/fra-100-giorni-volero-nello...

L-79: L’ultima esecuzione della famigerata 2.600… si spera!
INVIATO IL 6 SETTEMBRE 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Johnson Space Center (Houston, USA), 5 settembre 2014—Prima di tutto, mi scuso per il lungo silenzio. Non ho mai avuto intenzione di fare un’interruzione così lunga del diario, ma sono accadute delle cose nel lato privato della vita che hanno semplicemente avuto la priorità.

Così, ora sono tornata, lavorando a tutta velocità per una data di lancio che ora è, wow, lontana soli 79 giorni!

Dalla mia ultima nota del diario ho fatto dei brevi viaggi in Giappone e in Europa che hanno incluso un po’ di ripasso sui sistemi del JEM e di Columbus rispettivamente, ma soprattutto l’addestramento agli esperimenti della JAXA e dell’ESA che farò durante la mia permanenza sulla ISS. Cercherò di riparlarne in qualche prossima nota del diario.

Ora sono di nuovo a Houston per le mie poche settimane finali di addestramento al Johnson Space Center. Come di consueto, qui l’addestramento è piuttosto vario: ieri è stato il mio primo giorno e ho avuto una lezione di flebotomia, alcune brevi lezioni sugli esperimenti Body Measures [misurazioni del corpo—N.d.T.] e Salivary Markers [marcatori salivari—N.d.T.], una lezione di consulenza sull’Environmental Control System [sistema di controllo ambientale—N.d.T.], una lezione di familiarità con l’applicazione di bordo che usiamo per localizzare un incendio nascosto, e un paio di lezioni di IMAX, compreso un viaggio al cinema IMAX di Galveston per vedere dei filmati che avevo ripreso con Terry a luglio.

Oggi, Terry e io abbiamo dato il nostro saluto finale alla procedura 2.600, almeno in termini di addestramento. E mi auguro certamente che non la useremo in orbita, anche se non si può mai sapere! La famigerata 2.600 è la procedura “guasto sconosciuto al bus EPS”, dove EPS è l’Electrical Power System [sistema di alimentazione elettrica—N.d.T.]. Intende gestire una grave perdita di alimentazione, che potrebbe influire sulle comunicazioni con la terra: questo potrebbe accadere perché i sistemi di comunicazione perdono corrente o perché perdiamo il controllo d’assetto della ISS, o semplicemente i dati di puntamento (così le antenne non sanno dove trovare i satelliti per le comunicazioni). O una combinazione di queste cose. Inoltre, con una grave perdita di alimentazione al bus potremmo perdere parzialmente il raffreddamento interno e/o esterno, che ci porterebbe a un cosiddetto orologio termico: entro poche ore, alcuni componenti inizierebbero a surriscaldarsi!

Come potreste immaginare, la ISS ha molte funzionalità di auto-protezione: sono chiamate FDIR (Fault Detection Isolation and Recovery) [rilevamento, isolamento e recupero delle avarie—N.d.T.]. Il problema quando avete una grave perdita di alimentazione al bus, come quella del nostro scenario di oggi, è che potreste perdere l’alimentazione ai computer che sono responsabili della risposta FDIR: per esempio il computer che normalmente recupererebbe le comunicazioni verso una sequenza di backup.

Lentamente ma sicuramente, i computer principali della ISS, quelli al vertice della gerarchia, porteranno online le unità di backup per tutti i computer dei livelli inferiori, secondo una sequenza di priorità predeterminata. Ma il completo recupero potrebbe in realtà richiedere un’ora piena, e l’intervento dell’equipaggio è ancora richiesto per assicurarsi che la Stazione venga portata in una configurazione sicura, specialmente in termini di raffreddamento.

Nel nostro scenario di oggi la primissima priorità è stata recuperare il controllo d’assetto mettendo al comando i computer russi GNC (GNC = Guidance, Navigation and Control, [guida, navigazione e controllo—N.d.T.], che comprende mantenere la ISS nell’orientamento corretto). Appena i computer russi ottengono il controllo dell’assetto, accendono immediatamente i thruster per riportare la ISS al suo assetto nominale lungo la verticale locale e il vettore di veolcità. Potreste chiedervi perché quel passaggio al controllo russo non avvenga automaticamente in caso di perdita di assetto. Beh, il problema è nei pannelli solari: essi seguono il Sole e potrebbero trovarsi orientati in modo che l’accensione dei thruster rischi di danneggiarli. Così dobbiamo prima portare i pannelli solari in una posizione fissa, sicura: una delle cose che la 2.600 vi guiderà a fare!

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/09/06/l-79-lultima-esecuzione-famigerata-2-600-s...

L-75: Due anni fa: la nostra spedizione in Alaska!
INVIATO IL 9 SETTEMBRE 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Johnson Space Center (Houston, USA), 9 settembre 2014—Questa settimana è iniziata con un sacco di eventi che fanno capire davvero che presto voleremo nello spazio!

Che ne dite di una riunione con la direzione del programma ISS ieri? O un incontro di quattro ore con il team di controllo del volo sulla situazione attuale dei sistemi della ISS? O aver ricevuto i nostri “quaderni dell’equipaggio” ufficiali, certificati per volare sulla ISS? O aver ripreso in video la mia intervista pre-volo questa mattina?

E parlando di ultime cose, sto anche portando in giro un refrigeratore per la mia raccolta finale delle urine delle 48 ore… decisamente uno degli aspetti meno glamour e piacevoli dell’addestramento da astronauta!

Hey, oggi è anche un grande anniversario per il nostro equipaggio: esattamente due anni fa abbiamo iniziato la nostra spedizione NOLS in Alaska. È stato quando Butch, Terry e io abbiamo avuto veramente per la prima volta l’opportunità di conoscerci fra noi. Kimiya e Kjell, che hanno condiviso quell’avventura con noi, sono ora il nostro equipaggio di backup. Hel è ora il CAPCOM principale della Expedition 43, mentre Thomas è ancora il nostro Lead Flight Director [direttore di volo principale---N.d.T.] della Expedition 42!

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/09/09/l-75-anni-fa-nostra-spedizione-in...

L-70: Ospiti speciali per me e Terry in una settimana di ultime volte
INVIATO IL 14 SETTEMBRE 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Houston (USA), 14 settembre 2014—È stata una settimana di molte ultime volte. Questo è ciò che accade quando siete a L-70!

Venerdì ho avuto il mio ultimo briefing in preparazione di—indovinate—la mia ultima sessione al NBL la prossima settimana. E giovedì ho avuto la mia ultima lezione sul SAFER.

Potete leggere un po’ di più sull’addestramento al SAFER qui. Ma per la verità questa lezione è stata un po’ diversa perché abbiamo provato la configurazione di realtà virtuale che impieghiamo sulla ISS, utilizzata per fare pratica con gli scenari di soccorso SAFER, ma anche per rivedere una timeline in 3D prima di eseguirla in una passeggiata spaziale. Ecco una foto di come appare!

E mercoledì Terry e io abbiamo avuto la nostra ultima giornata completa di corso di Prep & Post, ripassando le operazioni nell’airlock eseguite prima e dopo una passeggiata spaziale. Che ci crediate o no, sono passati quasi tre anni dalla mia prima lezione di Prep & Post: ho delle foto di quell’occasione datate ottobre 2011. A quell’epoca non ero ancora assegnata a una spedizione sulla ISS, ma mi stavo addestrando come se lo fossi essendo stata designata astronauta di riserva dell’ESA. Regan, l’istruttore principale per i sistemi EVA della nostra Expedition 42, in realtà mi ha tenuto quel corso già nel 2011: posso tranquillamente dire che mi ha insegnato tutto quello che so sulla tuta EMU e sulle operazioni nell’airlock.

Normalmente in una lezione di Prep & Post pressurizzeremmo le tute e dedicheremmo un bel po’ di tempo di addestramento ai protocolli di prebreathing. L’ho spiegato un po’ in queste note precedenti del diario: L-470 e L-390.

In questa lezione, tuttavia, non abbiamo eseguito la pressurizzazione e ci siamo invece concentrati su un ripasso accurato di tutte le procedure. Ma l’obiettivo principale è stato trarre il massimo profitto dalle poche ore in cui abbiamo avuto un ospite speciale, il nostro comandante della Soyuz Anton. In passato, quando c’erano solo tre persone sulla ISS, i cosmonauti venivano addestrati pienamente sulla EMU e i non russi sulla Orlan. Dopo che abbiamo iniziato ad avere sei membri dell’equipaggio a bordo—tre russi e tre non russi—la ISS è passata a operazioni separate, in modo da ottimizzare il tempo di addestramento, così che tutti fossero addestrati solo nella “loro” tuta e le relative procedure di passeggiata spaziale. Come astronauti ESA siamo un po’ un’eccezione, nel senso che la maggior parte di noi (me compresa) è qualificata sia sulla EMU che sulla Orlan.

Come probabilmente sapete se state seguendo questo diario, indossare la EMU non è un compito così facile e poter contare su due mani extra in aiuto è decisamente auspicabile. Avere avuto Anton a mettere le mani sulla EMU la settimana scorsa, aiutandoci nel processo di vestizione, darà decisamente i suoi frutti se dovrà farlo in orbita!

Il nostro secondo ospite speciale è stato l’astronauta Karen Nyberg, che ci ha dato molti preziosi suggerimenti basati sulla sua esperienza nell’esseguire realmente le operazioni nell’airlock sulla ISS giusto l’anno scorso.

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/09/14/l-70-ospiti-speciali-per-terry-in-settimana...


L-61: Tante domande dell’ultimo minuto, e fortunatamente molte risposte!

INVIATO IL 24 SETTEMBRE 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Johnson Space Center (Houston, USA), 23 settembre 2014—Un periodo fitto, fitto, fitto di impegni a Houston in queste settimane. È il mio ultimo viaggio di addestramento al Johnson Space Center—in effetti, questa è la mia ultimissima settimana—e c’è così tanto da fare!

Solo parte di questo è propriamente addestramento—un’ultima simulazione di emergenza qui, un’ultima sessione robotica là, un’ultima giornata di addestramento sott’acqua alle passeggiate spaziali nel Neutral Buoyancy Laboratory, e un’ultima sessione con il modello di addestramento a terra dell’ARED, la nostra macchina per l’esercizio fisico in assenza di peso. E così via.

Un’altra grossa fetta del tempo viene spesa per la Baseline Data Collection (BDC) [raccolta di dati di riferimento—N.d.T.]. Mentre scrivo, sono distesa su un letto aspettando di fare una risonanza magnetica per l’esperimento ESA “Cartilagine”, che studia gli effetti del volo spaziale di lunga durata sulla, sì, cartilagine. È importante lasciare riposare il ginocchio prima dell’esame, da cui i miei brevi 30 minuti di tempo libero adesso che mi permettono di scrivere questa nota del diario! Fra l’altro, sto anche portando con me un refrigeratore per una raccolta delle urine delle 48 ore, e più tardi nella giornata indosserò i sensori per il monitoraggio della temperatura di base per un altro esperimento ESA, “Ritmi Circadiani”. Sì, ve lo ricordate, i giorni della bandana…

Per finire, ci sono quelle attività che vi ricordano veramente che molto presto volerete verso la ISS. La settimana scorsa, per esempio, abbiamo avuto una lezione di passaggio delle consegne con Mike Hopkins, dalla Expedition 37/38, che ci ha portati in giro nei mockup della Stazione indicando tutte quelle piccole cose della vita quotidiana nello spazio che è difficile sapere dagli istruttori, proprio perché loro non hanno vissuto lì di persona. Dove cambiate le batterie? Dove tenete gli obiettivi delle fotocamere e come maneggiate le fotocamere? Dov’è l’attrezzatura per lo “spazio ufficio” e come è organizzata? E l’angolo dell’igiene? Il posto migliore per stendere ad asciugare i vostri indumenti da allenamento?

E che ne dite di domande tipo: come vengono impacchettati i mie abiti? Su quale veicolo verranno sù? Come li troverò? Tutto quello e altro è parte del briefing di Crew Provisioning [approvvigionamento dell’equipaggio—N.d.T.]. È così che so che la maggior parte dei miei abiti, oggetti per l’igiene e alcune cose che ho potuto aggiungere io stessa sono appena arrivati sulla ISS questa mattina con SpX-4. Hurrà! In qualche modo legato a questo è stato il nostro briefing sui materiali di consumo: come vengono gestiti i diversi tipi di materiali di consumo, come si tiene traccia del loro utilizzo? Abbiamo incontrato gli specialisti che si prenderanno cura di questo durante il nostro incremento. E su un argomento simile: qual è la situazione dello stivaggio e dell’inventario a bordo? Potrebbe non sembrarvi molto interessante, ma credetemi, è molto interessante per noi. Immaginate di dovere andare a vivere in una casa che trabocca di roba, di cui dovete accuratamente tenere traccia: vorrete probabilmente sentire qualche parola sulla situazione corrente!

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/09/24/l-61-tante-domande-dellultimo-minuto-fortunatamente-molte-r...

L-46: Passata l’ultima notte nel mio letto per i prossimi 8 mesi…
INVIATO IL 9 OTTOBRE 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Francoforte (Germania), 8 ottobre 2014—Di corsa, di corsa, di corsa! Ogni singola volta che ho lasciato il mio appartamento per prendere un treno verso l’aeroporto di Francoforte per andare da qualche parte nel mondo per l’addestramento, il mio bagaglio era pronto quando veniva il momento di partire… e intendo esattamente in quel momento, non un minuto prima. E ogni volta ho pregato l’angelo custode degli astronauti di non perdermi nulla (o almeno nulla di importante) della mia checklist sempre più estesa di cose da mettere in valigia.

Perché oggi dovrebbe essere stato diverso? Forse perché vedrò Colonia molte volte dallo spazio (copertura nuvolosa permettendo) prima di tornarci? O perché ho in tasca un biglietto di sola andata per la Russia—o meglio, sul mio smartphone? O perché ho un visto kazako sul mio passaporto?

O forse perché ho molte cose uniche nel mio bagaglio a mano. Tanti piccoli ricordi che porterò in volo per la famiglia e gli amici intimi nella mia dotazione personale di 1,5 kg sulla Soyuz, per esempio… non è qualcosa che voglio perdere lungo la via verso lo spazio (e ritorno) e certamente non sulla strada per Mosca.

Ma sto anche portando il mio IMAK della Soyuz. No, non ricordo cosa significa quell’acronimo, mi dispiace. Ma “Medico” e “Kit” ne fanno probabilmente parte. L’IMAK è come la vostra cassetta da viaggio delle medicine. Ce n’è uno più grande per ogni membro dell’equipaggio sulla ISS, ma ne portiamo uno più piccolo nella Soyuz—è una precauzione necessaria, specialmente nel caso qualcosa andasse storto con il nostro profilo in sei ore dal lancio all’attracco e dovessimo invece trascorrere due giorni nella Soyuz prima di arrivare alla Stazione.

E sto anche portando il mio kit personale indossabile dell’equipaggio. Si tratta di un certo numero di elementi che indossate su di voi nel viaggio verso l’orbita: la vostra tavoletta da ginocchio con penne e matite (e i loro cavi di fissaggio), strisce di velcro, il vostro cronometro portatile, la vostra torcia elettrica e, sì… il sacchetto dell’emesi. È una bella parola per il sacchetto che torna utile se il vostro ultimo pasto sulla Terra non vuole proprio rimanere nel vostro stomaco…

Comunque, ora eccomi qui. L’imbarco sul mio ultimo volo commerciale è quasi completo: atterraggio a Mosca questa sera tardi, pronta a riprendere l’addestramento a Star City domani.

Fra l’altro, secondo i documenti della mia missione, non mi sto solo dirigendo verso la Low Earth Orbit [orbita terrestre bassa—N.d.T.] (yuppie!), ma sto anche andando verso la Neutral Zone [zona neutrale—N.d.T.]. Date un’occhiata! Mi auguro certamente che i Romulani se ne stiano buoni.

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/10/09/l-61-passata-lultima-notte-nel-mio-letto-per-i-prossimi...

L-43: Farsi un’ecografia… con un bel po’ di aiuto!
INVIATO IL 11 OTTOBRE 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Star City (Mosca, Russia), 11 ottobre 2014—È bello essere di nuovo a Star City! Fa un bel po’ più freddo di quanto fosse in Europa—ma è molto bello: gli alberi stanno mostrando tutti i ricchi colori dell’autunno. È proprio incantevole qui, appartati dalla confusione di Mosca e dal suo traffico frenetico. E apprezzo certamente il fatto che le strutture di addestramento sono solo a pochi minuti di distanza in bicicletta dal Profilactorium, dove abbiamo i nostri alloggi come astronauti ESA.

Ho fatto solo due giorni di addestramento, ma ho già avuto l’occasione di ripassare tutte le competenze su cui dovrò sostenere degli esami nelle prossime settimane, come parte della nostra certificazione finale: rendezvous manuale, attracco manuale e discesa manuale. Anton e io abbiamo iniziato ad addestrarci per il nostro complesso esame di un giorno sulla Soyuz (Terry ci raggiungerà fra un’altra settimana). Come da tradizione, la prima simulazione riguarda le operazioni pre-lancio (quello che facciamo sulla rampa di lancio prima dell’accensione), l’ascesa, l’inserimento in orbita e poi… beh, dipende dal buon cuore dell’istruttore. Nel nostro caso, abbiamo avuto una perdita—stavamo perdendo l’atmosfera nello spazio—e così siamo dovuti tornare indietro con una discesa d’emergenza. Sarebbe un volo molto breve!

Ci tengo a dire che fra l’addestramento a Houston e il ritorno a Star City ho passato diversi giorni di addestramento all’European Astronaut Centre di Colonia. Questo ha riguardato un ripasso finale dei sistemi di Columbus, ma anche dell’addestramento aggiuntivo alla sostituzione di una valvola Water-On-Off [acqua-aperta-chiusa—N.d.T.]. Ce ne sono 10 nel sistema di controllo termico di Columbus e una si sta comportando male recentemente, quindi è piuttosto probabile che sarò incaricata di sostituirla—un ricambio è già in orbita.

Ho fatto anche un bel po’ di addestramento sugli esperimenti, come l’EML (= Electro-Magnetic Levitator [levitatore elettromagnetico—N.d.T.]. Bel nome, eh?). È arrivato sulla ISS l’estate scorsa sull’ATV-5 e Alex, che ora è lì, ha già iniziato a installarlo, ma sembra che non avrà abbastanza tempo per completare il lavoro e quindi continuerò io. Ecco qualche altra informazione sull’EML.

E l’EAC è anche dove facciamo la Baseline Data Collection (BDC) [raccolta di dati di riferimento—N.d.T.] per un certo numero di esperimenti di fisiologia umana per l’ESA e l’ASI (l’Agenzia Spaziale Italiana). Così, per esempio, questa settimana ho dovuto dormire per due notti indossando una speciale maglietta con sensori integrati per l’esperimento Wearable Monitoring [monitoraggio con sensori indossabili—N.d.T.]. Ne ho parlato qui.

Ha fatto anche parte di questa BDC un’ecografia al cuore, ma non sarà eseguita in orbita. Per qualche altro esperimento, comunque, dovremo ugualmente fare un’ecografia nello spazio. A questo scopo abbiamo sempre un operatore di ecografia esperto, che fornisce assistenza remota da terra, e nell’addestramento facciamo pratica insieme per assicurarci di comunicare efficientemente. Un esempio di un protocollo che richiede un’ecografia in orbita è l’esperimento dell’ASI Drain Brain [flusso cerebrale—N.d.T.]. Nella foto potete vedere una sessione di addestramento dello scorso agosto all’EAC—Manuela è l’istruttrice per questo esperimento, la guida a distanza è in realtà in un’altra stanza.

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/10/11/l-43-farsi-unecografia-bel-p...

L-42: Nella camera a vuoto, dove l’acqua bolle a temperatura ambiente!
INVIATO IL 12 OTTOBRE 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Star City (Mosca, Russia), 12 ottobre 2014—Non potevo certamente perdermi la nota del diario di oggi… oggi è L-42 per la Expedition 42!

Mentre inizio a scriverla, sono le 6 del pomeriggio a Baikonur, Kazakistan, dove il nostro viaggio verso lo spazio inizierà fra sei settimane. Esattamente a quest’ora, alle 6 del pomeriggio, il 23 novembre, dopo un pisolino pomeridiano di 5 ore ci sveglieremo per iniziare la nostra preparazione al lancio. Le nove ore finali sul pianeta, prima che i motori del razzo Soyuz illuminino la notte esattamente alle 02:59:06 ora locale (sono le 20:59:06 GMT).

Ma oggi, torniamo indietro nel tempo di alcune settimane alla mia sessione nella camera a vuoto a Houston, l’attività finale richiesta per la certificazione alle passeggiate spaziali nella tuta EMU della NASA. La vita è stata così piena recentemente, che non ho avuto ancora tempo di raccontarvelo.

Come potreste ricordare, a luglio ho fatto la prova generale, eseguendo tutte le operazioni senza realmente andare nel vuoto. Ne ho parlato qui.

Il giorno successivo un problema tecnico ci ha obbligati a interrompere la sessione ad alta quota, che è stata rimandata a settembre e spostata in una camera diversa. Questa volta sono stata finalmente in grado di andare nel vuoto nella EMU!

Cioè… verso le 2 del pomeriggio, anche se la giornata era iniziata alle 7:30. Come probabilmente sapete a questo punto, non potete andare nel vuoto in quel modo: la tuta vi manterrà a 4,3 psi [0,29 atmosfere—N.d.T.] e a quella pressione così bassa la malattia da decompressione potrebbe essere un problema. Quindi, dobbiamo seguire un protocollo di prebreathing accuratamente pianificato per liberarci dell’azoto che si trova in soluzione nel nostro sangue.

Il modo per farlo è respirare ossigeno puro per un po’, il che significa che dobbiamo sostituire tutta l’aria all’interno della tuta con l’ossigeno. Lo facciamo aprendo una valvola di sfogo, sostanzialmente un buco nella tuta: il regolatore continua a erogare ossigeno dai serbatoi alla tuta per mantenere attiva la sovrapressione e, dopo circa 12 minuti, riteniamo che tutta l’aria sia stata sostituita dall’ossigeno. Poi, aspettiamo… e respiriamo.

Nello spazio tendiamo in realtà a usare il più veloce protocollo In-Suit-Light-Exercise [esercizio leggero nella tuta—N.d.T.], con cui facciamo pratica nelle lezioni di Prep & Post, come ho descritto qui.

Nella camera invece respiriamo semplicemente ossigeno puro per quattro ore. Abbiamo la possibilità di vedere un film mentre aspettiamo—io ho scelto Princess Bride [La storia fantastica nella versione italiana—N.d.T.], che è stato molto divertente! E dopo le quattro ore, la pressione nella camera è stata fatta scendere a un valore molto basso—a tutti gli effetti pratici, vuoto.

Rispetto all’esperienza nella camera a vuoto con la Orlan (vedete qui) ho avuto il piacere aggiuntivo di vedere un divertente effetto del vuoto: un vaso con un po’ d’acqua era stato lasciato sul pavimento in modo che potessi osservarlo e, difatti, ho potuto vedere l’acqua bollire!

Quello che non abbiamo fatto, che viene normalmente fatto nella camera nominale, è lasciare cadere due oggetti molto diversi e osservarli raggiungere il pavimento nello stesso momento… beh, immagino che sarà qualcosa da non vedere l’ora di fare la prossima volta!

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

Fonte dati: www.astronautinews.it/2014/10/12/l-42-camera-vuoto-dove-lacqua-bolle-temperatura-a...

L-40: Abbiamo cariche pirotecniche sulla Soyuz… sì le abbiamo!
INVIATO IL 14 OTTOBRE 2014 DA SAMANTHA CRISTOFORETTI



Star City (Mosca, Russia), 14 ottobre 2014—Oggi Anton e io abbiamo passato la mattina nel simulatore Soyuz per una simulazione di sgancio e rientro. Naturalmente, come di consueto nelle simulazioni, niente ha funzionato a dovere.

Infatti, non solo abbiamo dovuto affrontare un incendio, ma per buona misura il nostro istruttore Dima ci ha gettato addosso una perdita nei serbatoi dell’azoto, i quali contengono il gas ad alta pressione che pressurizza le nostre tubazioni del propellente. In poche parole—niente pressione nei serbatoi dell’azoto, niente accensioni del motore!

Ho parlato diverse volte di come affrontare un incendio nella Soyuz, per esempio qui.

Oggi vorrei parlarvi della “separazione”. Come potreste sapere, la capsula Soyuz è fatta da tre componenti: il modulo orbitale, che è l’elemento grossolanamente sferico a un estremo, il modulo di servizio con i (la maggior parte dei) motori all’altro estremo e il modulo di discesa a forma di campana nel mezzo. Solo il modulo di discesa, come suggerisce il nome, è pensato per rientrare sulla Terra: ha la forma appropriata e uno scudo termico per sopravvivere al rientro atmosferico. Quindi, dopo l’accensione del motore che ci rallenta e ci obbliga a tornare nell’atmosfera terrestre, dobbiamo effettuare la separazione: mentre siamo legati al sicuro nei nostri seggiolini nel modulo di discesa, con il portello verso il modulo orbitale chiuso, delle cariche pirotecniche spingono via esplosivamente i tre elementi. Uno di quei momenti indimenticabili durante la corsa sulle montagne russe che è il rientro nella Soyuz, o così mi viene detto. Potete saperne di più su quella corsa da questo bel video dell’Agenzia Spaziale Europea.



Ma come viene avviata la separazione?

Nominalmente, dal computer, secondo una sequenza automatica. Dopo lo spegnimento del motore, si apre la valvola di sfogo nel modulo orbitale e la sua atmosfera si disperde nello spazio. Inoltre, viene avviata una manovra di beccheggio per assumere un assetto sicuro per la separazione: è per assicurarsi che noi e i moduli “espulsi” seguiamo traiettorie separate e non ci incontriamo più. E per quanto crudele possa suonare, loro sono destinati a bruciare e noi ci dirigiamo verso casa! Finalmente, al momento predeterminato, viene inviato il comando per far brillare le cariche pirotecniche.

Se il computer principale si guasta, possiamo assumere manualmente l’assetto corretto ed eseguire una serie di comandi per effettuare la separazione manualmente al momento opportuno.

Cosa accade, tuttavia, se il nostro motore principale si guasta e dobbiamo completare l’accensione con i thruster di backup? Beh, quell’accensione dura di più, perché la spinta disponibile in quel caso è molto più piccola. Se il motore principale si guastasse verso l’inizio della manovra, NON avremmo completato l’accensione all’arrivo del momento predeterminato della separazione. In quel caso, la separazione è legata al riscaldamento dei sensori termici posizionati sul modulo di servizio. A un certo punto, mentre arriviamo nell’atmosfera sempre più densa (ma siamo ancora sopra i 100 km!), raggiungeranno una certa soglia di temperatura e quello è ciò che attiverà la separazione.

Dopodichè, nella maggior parte dei casi, il rientro sarà balistico.


Se vuoi volare alto circondati di aquile non di polli !!!