00 29/11/2006 22:01

INVITO

Venerdi' 1 dicembre alle ore 17.00 verrà inaugurato il
centro studi e documentazione Saveria Antiochia Omicron presso l'Istituto Marignoni in Via Melzi d'Eril 9, 20154 Milano.

Il Centro nasce dalla collaborazione fra Libera, la Provincia di Milano e Omicron (Osservatorio Milanese Criminalità Organizzata al Nord) e sarà punto di riferimento per studi e ricerche su MAFIA E ANTIMAFIA, DIRITTI UMANI E CIVILI, EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA E ALLA LEGALITA' DEMOCRATICA.

Hanno confermato la loro presenza:
Don Luigi Ciotti, Nando Dalla Chiesa, Giansandro Barzaghi, Alessandro Antiochia, Giovanni Impastato, Gianni Barbacetto, Marco Di Girolamo, Lorenzo Frigerio, Ombretta Ingrascì, Giuseppe Santagati, Jole Garuti (direttrice del Centro).

Ingresso libero
Sarà proiettato un video su Saveria Antiochia.
Seguirà un brindisi augurale.




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Saveria Antiochia, la mamma di Roberto, assassinato a Palermo, a 23 anni, il 6 agosto 1985, insieme ad Antonino Cassara´, ci ha lasciato nel marzo del 2001.
Queste sue parole, raccolte da Giuliano Gallo, sono tratte dal libro "A testa alta, storie civili al femminile" (EGA edizioni, 2001). Ce le ha spedite Nonnonino85 che ringrazio molto.
Se vi e' possibile, per favore, mandatele a qualcuno che era troppo piccolo quando tutto e' successo, e non conosce la loro storia:


"Questa era una casa piena di vita. Gli amici dei miei tre figli sono sempre entrati in casa come e quando volevano, ed erano contenti di scoprire che qui si potevano sedere anche per terra, che nessuno avrebbe mai dato la cera ai pavimenti, che non erano obbligati a girare con le pattine...
Loro venivano, e le porte erano sempre aperte. Anche perche´ cosi´ ci conoscevamo meglio, tutti quanti. I miei figli hanno fatto gli scout, facevano sport assieme al padre, fino a che e´ vissuto.
Mio marito si chiamava Marcello, si era fatto la prigionia in Germania, e la sua salute era precaria. E´ morto a 49 anni dopo tre anni fra casa ed ospedale. Pero´ fino all´ultimo ha cercato di stare vicino ai suoi figli, alla sua famiglia. Ci volevamo bene sul serio, facevamo tutto insieme. Io sono torinese, mio marito invece era nato a Roma da famiglia napoletana, ma era cresciuto a Genova, allevato dagli zii che non avevano figli. Marcello non aveva tessere di partito, ma era comunque un uomo di sinistra. Era impiegato in Banca d´Italia, aiutante di cassa. Leggevamo insieme i giornali, discutevamo assieme quello che succedeva nel nostro paese. Noi due e i figli.

Certo, c´era un´ inesperienza rispetto ad adesso... Eravamo cresciuti tutti e due sotto il fascismo. Anche se io ero cresciuta vicino ad un padre che era stato in Inghilterra, in Nordamerica. Prima della Grande Guerra gia´ faceva i primi disegni per i cartoni animati. Era un uomo colto, la nostra casa era piena di libri. Mi ha dato il gusto e la passione del leggere. Anche i miei figli sono cresciuti cosi´. Un po´ nomadi, abituati a viaggiare fin da piccoli: li prendevamo, li caricavamo in macchina e partivamo. Marcello sognava viaggi lunghi, all´estero. Invece la cardiopatia lo ha stroncato prima. Quando e´ morto mi sono dovuta rimboccare le maniche:un figlio aveva diciotto anni, un altro dodici e Roberto appena otto. Gia´ avevo preso il timone della barca durante la sua malattia, quando e´ morto ho dovuto cominciare a fare tutto da sola. La pensione non era un granche´, io avevo cinquant´anni e non potevo certo entrare in Banca d´Italia al suo posto... Ho dato lezioni, ho insegnato storia dell´arte in un istituto privato serale. E poi mi sono messa a dipingere su stoffa, vendicchiando qualcosa, lavorando sulla moda. Continuando a leggere, a vivere il mio tempo e a seguire i ragazzi.
Avevano un gran impegno sociale. Alessandro il piu´ grande, quando ci fu il terremoto a Tuscania corse ad aiutare: e mio marito che stava morendo, era voluto andare a trovarlo. Eravamo persone modeste, con pochi mezzi. Ma non ci tirammo mai indietro. Io mi sono impegnata nella scuola, i figli facevano politica.

Poi per Roberto era arrivato il momento di fare il militare. Lo avevano messo in marina perche´ aveva fatto del canottagggio sul Tevere. Lui invece voleva fare il carabiniere. Ma non lo avevano preso, perche´ era troppo giovane. Aveva due amici che erano entrati in polizia e gli avevano detto: dai, vieni anche tu. Aveva fatto le prove, era andato benissimo. Ed in una setimana si era ritrovato poliziotto in piena regola. No, non c´era nessuna contraddizione tra il suo impegno politico ed il voler fare il poliziotto. Roberto aveva maturato tante cose. Aveva visto morire per overdose la fidanzata del suo compagno di banco al liceo,uccisa dagli spacciatori che non volevano mollarla. Vedeva i fascisti assaltare il suo liceo, ed i poliziotti di guardia che facevano finta di non vedere. E poi gli piacevano i libri gialli, gli piaceva giocare all´investigatore.

Una mattina - stava ancora al liceo artistico - erano in giro per il centro a fare i profili dei palazzi antichi, quando avevano sentito sparare. Erano le brigate rosse che assaltavano la sede della DC di Piazza Nicosia. Erano corsi ed avevano visto i poliziotti feriti in terra. I suoi compagni di scuola erano scappati, Roberto invece era rimasto li´, aveva cercato di aiutarli.
I figli sono una cosa straordinaria. Si vive con loro e si cresce con loro. Si vive nel "loro" tempo. Io come donna di casa ero un po´ distratta. Pero´ c´erano troppe cose forti dentro di me. E le vivevo con i figli. Con Roberto in particolare. Dividevamo tutto, noi. Un giorno siamo partiti con la tenda e siamo arrivati fino al mare del Nord. Francia, Lussemburgo, Belgio, Olanda. Siamo andati a vedere i nostri prediletti pittori fiamminghi e francesi. Era bellissimo.

Ecco, noi siamo cresciuti insieme. Vivendo insieme l´arte e la musica, la politica, le battaglie, le speranze. Abbiamo fatto tanto insieme. Ma quando se ne sono andati, quando hanno preso ognuno la propria strada, io non mi sono sentita sola. Mi potevano mancare, ma io con me stessa ci so stare. Anche se e´ difficile. Alessandro si era sposato, Corrado era andato a fare il militare, Roberto faceva il poliziotto.Ed io andavo un po´ da uno un po´ dall´altro, ma facevo molto vita per conto mio. Dipingevo molto, avevo finito di studiare all´Accademia. Avevo amici con i quali lavoravo, avevo uno studio qui in casa, avevamo anche un torchio per stampare. Abbiamo vissuto. Fino a che e´ arrivata la cosa di Roberto…
Roberto intanto era andato alla questura di Torino. Aveva vent´anni, e si occupava di rapimenti, omicidi. Aveva anche lavorato vicino all´Ucigos nel terrorismo durante la cattura di Natalia Ligas, una brigatista. Poi alla Criminalpol a Roma. E poi ancora a Vicenza, a occuparsi di sequestri di persona. La “banda dei giostrai”, ricorda? E li´ e´ successo un incidente ad una macchina guidata da un collega di Roberto: per evitare un ciclista era andato a sbattere contro il cancello di una villa, si erano rotte due statue e la macchina. E per punizione li avevano mandati tutti e due in Sicilia… Uno a Trapani ed uno a Palermo. Era il primo giugno dell´83. Roberto arrivo´ e ci fu subito Chinnici. Lui era abituato a fare polizia dura, ma la´ e´ stata una cosa... terrificante.

Aveva conosciuto gli uomini che lavoravano con Beppe Montana e Ninni Cassara´ ed aveva fatto di tutto per entrare nel loro gruppo. Poi avevano creato la squadra “catturandi”, e Roberto aveva fatto il salto. Voleva tornare a Roma, ma senza raccomandazioni. Quel trasferimento per punizione non l´aveva proprio accettato: lo riteneva ingiusto, ed aveva fatto ricorso. Era iscritto al sindacato di polizia, il Siulp. E attraverso il Siulp aveva fatto causa al Ministero. Alla fine l´aveva vinta, e lo avevano rimandato a Roma. Ma lui ormai era troppo legato a Montana, a Cassara´ ed ai suoi compagni. Arrivare qui, ed essere messo nell´autocentro di via Campanella, a guardare in un televisore le macchine che entravano ed uscivano dal garage gli pesava troppo. Prima lo avevano messo a fare la guardia ad una cassaforte, dentro il Viminale. Tutte le notti. Quando si sono accorti che si era portato un libro da leggere, “Delitto imperfetto” di Nando Dalla Chiesa, lo avevano sgridato: qui non si puo´ leggere. Ma a lui la notte non gli passava mai. – Io sono un portiere, oramai – mi aveva detto una volta. – Posso anche appendere le manette e la pistola al muro.
Si rianimava solo quando riceveva una telefonata da Cassara´, che gli chiedeva di indagare o pedinare qualcuno. Si metteva le sue Adidas e magari tornava alle quattro di mattina. Io morivo di paura, ma capivo che la sua vita era quella. Era un poliziotto.

Poi avevano ucciso Montana. Roberto era sceso quindici giorni in Sicilia con Cristina, per le ferie. Erano ospiti di un suo collega. Andavano in giro in barca, giravano in giro per i monti col binocolo a caccia di latitanti... E' tornato il 27 di luglio. Il 29 Cristina compiva 21 anni. Dovevano festeggiarlo al mare, nella casetta dei genitori di Cristina. Erano tutti giovani, era estate. E per un giorno non avevano aperto ne´ la radio ne´ la televisione. La mattina dopo sono scesi al mare e Roberto come al solito ha comprato il giornale. Ed ha scoperto che avevano ammazzato il suo amico Beppe.
E´ tornato subito a Roma, si e´ cercato un posto in aereo ed e´ sceso a Palermo. Al telefono piangeva. – Hanno ucciso Beppe; e´ come se avessero ucciso Alessandro o Corrado. Era uno dei miei fratellli maggiori… -. Quando e´ andato giu´, si e´ trovato in una situazione assurda: c´erano gli amministrativi con la scorta, e Cassara´ invece non aveva niente. Due poliziotti volontari che lo accompagnavano magari a casa. E poi stava lavorando da solo, perche´ avevano mandato tutti in ferie. Cosi´ Roberto, che sarebbe dovuto tornare a Roma il 2 agosto, e prendere servizio in via Campanella, aveva chiesto di rimanere a Palermo. Non gli volevano dare il permesso, ma lui aveva insistito tanto.
Da quel momento e´ rimasto con Cassara´ giorno e notte. Quando poteva dormiva un po´ nel monocamera di un collega, vicino al Politeama. Non l´avrei piu´ visto. Lo sentivo solo per telefono. Non le dimentichero´ mai, quelle telefonate. – Mamma, io rimango qua. Siamo in due o tre che possiamo restare con Cassara´. Stanno mandando tutti in ferie -. Mi telefonava sempre da una cabina, mai dall´ufficio. Mi aveva detto di non chiamarlo mai in ufficio. – Non ti potrei rispondere, perche´ anche i muri hanno orecchie. Qui c´e´ un´atmosfera di piombo. Noi comunichiamo con dei pezzetti di carta, che poi facciamo sparire…

In questura avevano ucciso a botte Marino, un fermato. Era successo un putiferio, c´erano state polemiche durissime. E dalla questura avevano fatto uscire la notizia che il responsabile era Cassara´, che Cassara´ sapeva che Marino era stato torturato al piano di sotto. Erano giorni terribili, che io vivevo solo attraverso le telefonate di Roberto. – Mamma, Cassara' e' stato tenuto fuori da tutto, non gli hanno dato nemmeno l´inchiesta di Montana.- E quando gli avevo chiesto come era morto Marino, come era potuto succedere, mi aveva risposto che loro non c´entravano. Quello si era presentato all´antirapina, al piano di sotto. – E perche´? Avrebbe dovuto presentarsi da noi… - Roberto era sicuro che Marino era complice degli assassini di Montana. Sapeva tante cose, Roberto... E invece quelli hanno fatto passare Cassara´ per il responsabile. Cosi´ hanno fornito un pretesto perfetto a chi gia´ si era preparato per levarselo di torno. Lo avevano mancato il giorno della morte di Montana, perche´ Cassara´ doveva essere con Montana, quel giorno a Porticello. Come tante altre volte. Dovevano andare in barca assieme. Solo che all´ultimo momento gli erano arrivati dei parenti da Messina, ed aveva telefonato: - Beppe, non posso venire, devo stare in famiglia…

Loro erano gia´ pronti comunque. Avevano un locale nascosto alla fiera del Mediterraneo, dove tenevano le armi, ma la base d´appoggio era nel condominio di fronte. Era una specie di appartamentino-ufficio che non avevano mai adoperato per lavorarci. Io ci sono stata, dentro. Ho fatto il sopralluogo con i giudici. Siamo stati li´ dentro due ore e mezza ed anche alle finestre da dove avevano sparato a mio figlio. Erano proprio davanti all´ingresso del palazzo dove abitava Cassara´. Avevano gia´ studiato prima gli orari, gli andirivieni... Sparare con dei kalashnikov da trenta metri di distanza non e´ facile. La cosa deve essere molto rapida, e allora bisogna avere un programmino balistico. Il kalashnikov non e´ un´arma molto precisa. Ed infatti loro hanno sparato facendo una specie di cono, sparando contemporaneamente da diverse finestre. Hanno trovato almeno ottanta bossoli…
Cassara´ e Roberto sono stati colpiti assieme. Roberto ne ha avuti tre: uno in testa e due alle gambe. Cassara´ invece e´ stato preso all´aorta ed ad un gomito. Roberto e´ caduto subito. I poliziotti che sono arrivati hanno detto che dall´androne sporgevano solo i piedi. Roberto era molto alto, quasi un metro e novanta... Cassara´ invece, che aveva un´emorragia, e´ riuscito ad arrampicarsi fino ai primi tre gradini dentro al portone. E li´ lo ha trovato Laura. Scendendo con la bimba in braccio, aveva bussato a delle porte perche´qualcuno le prendesse la bambina. Alcuni erano in vacanza, altri hanno avuto paura, perche´ avevano sentito la sparatoria. Alla fine un signore ha aperto, ed ha preso la bambina.
Laura e´ arrivata che Ninni era ancora vivo e lui ha chiuso gli occhi con la testa sulle ginocchia di sua moglie. Sapesse quante volte ho pensato a Roberto che era la´ che moriva da solo.

Io? Io ero qui a casa. E quel giorno e´ stata una giornata molto particolare. C´era scirocco anche qui. Una giornata grigia, plumbea. Avevo il cane di mio figlio Corrado che era andato all´Argentario con degli amici. Era un grosso bob tail, che era cresciuto qui. Quel giorno l´ho dovuta portare a fare un giretto, poi sono tornata a casa per ascoltare la radiolina che portavo sempre con me.Sentivo in continuazione i giornali radio, perche´ avevo un´angoscia indescrivibile. Roberto mi aveva chiesto per telefono di ritagliargli tutti gli articoli sul caso Marino. – Qui non li trovo, ed invece di questa storia voglio avere tutto.
Ero qui che ritagliavo i giornali, ma non mi sentivo bene. Sapevo che alle tre c´era un giornale radio, ed allora ho aperto la radio. Ma non funzionava. E non ha funzionato piu´ fino alle sette di sera, fino a quando ho saputo che Roberto era morto. Erano tutte scariche, non si capiva niente. Avevo li´ sul mobile un´altra radio, invece sono rimasta seduta a ritagliare articoli di giornale. Era come se la mia testa si fosse paralizzata. Non mi e´ venuto in mente di aprire l´altra radio, ma nemmeno di andare di la´ ed accendere il televisore.
Ad un certo punto ho letto un articolo che mi ha dato fastidio, ed ho chiamato “Il Manifesto”, cercando l´autrice. Mi hanno detto che non c´era. E´ venuto un giornalista al telefono e gli ho detto: - Ma vi rendete conto che voi parlate dei poliziotti senza sapere che cosa significa lavorare la´ senza mezzi, facendo una vita di sacrifici -. E quello dopo un po´ mi ha interrotto. – Signora, mi scusi un momento, devo prendere un´altra telefonata. E´ successo qualcosa e me ne devo occupare. Ma lei perche´ si interessa tanto di sapere queste cose? – Perche´ sono la mamma di un poliziotto che e´ a Palermo! – Ed in quel momento hanno suonato alla porta. Erano le mie cognate.

Venivano qui perche´ avevano visto e sentito la televisione. Ma non avevano avuto mie notizie. Il Ministero dell´Interno si era dimenticato di me. Avevano gia´ mandato a prendere i figli della signora Cassara´ in Abruzzo e poi subito imbarcati su un aereo per Palermo. Da me invece non era venuto nessuno. Se la radio avesse funzionato, o se avessi acceso il televisore, quello che era successo in via Croce lo avrei saputo in diretta... Avrei saputo che Roberto era morto.
Quando sono entrate le mie cognate, hanno capito subito che non sapevo niente. Il marito di mia cognata si era fermato al commissariato, che sta proprio sotto casa. - Ma voi avete saputo che cosa e´ successo? Mia cognata abita qui, a pochi metri. – Si´, ma non abbiamo avuto disposizioni, - avevano risposto imbarazzati. – ma c´e´ bisogno di ordini? Ma quella donna e´ sola!
Quando ho aperto la porta e le ho viste li´, mi e´ sembrato strano. Una soprattutto non veniva mai a trovarmi. Come mai siete qui? Sai, abbiamo sentito la televisione... E´ successo qualcosa di grave a Palermo… Ci e´ parso di sentire che c´e´ stato un conflitto a fuoco, ci e´ sembrato di sentire anche il nome di Roberto… Avevo il telefono dietro alle spalle. – Un momento, - ho detto. Mi sono girata ed ho fatto il numero della squadra mobile di Palermo. Mi ha risposto il centralino. – Sono la mamma di Roberto Antiochia. Che cosa e´ successo? – Quello si e´ pietrificato al telefono. – Pronto? Mi sente? Mi ha capito? Sono la mamma di Roberto Antiochia. Qui le mie cognate mi dicono che e´ successo qualcosa di grave a Palermo. Che cosa e´ successo, me lo dica! – L´agente riprende fiato e mi dice: - Signora, aspetti che le passo l´ufficio del funzionario -. Mi si e´ gelato il sangue: quando ti passano i funzionari...

E li´ non veniva nessuno. Stavano a sorteggiare per vedere chi doveva venire al telefono. A dire a me che mio figlio era morto. Io non piangevo. Forse e´ questione di carattere, forse ci sono questioni talmente enormi per le quali non piangi nemmeno... Io ho un carattere cosi´.Forse soffro piu´ degli altri, molto di piu´. Alla fine comunque e´ venuto al telefono un funzionario, ma non ha avuto il coraggio di dirmi che Roberto era morto. Mi ha detto che era molto grave, che era in ospedale, che c´era stato un conflitto a fuoco, che dovevamo partire, andare giu´... Mio figlio Alessandro era quasi arrivato a Potenza Picena. Era in macchina e non si sentiva bene, come me. Aveva detto alla moglie: - Appena posso mi fermo e prendo un´Alka Seltzer. Non so, quel poco che ho mangiato mi e´ rimasto tutto sullo stomaco. Faccio fatica a respirare... - E mentre parlava arriva in volo un uccello scuro. E muore contro il parabrezza dell´auto. Alessandro ferma la macchina, e si reca in un bar poco distante. La moglie non vuole niente, resta in macchina. Quando torna indietro la vede bianca come una morta: aveva aperto la radio ed aveva sentito. – Cos´hai, stai male anche tu? – Io non sto male per lo stomaco. Ho sentito la radio. Una notizia da Palermo -. Lui l´ha guardata e le ha chiesto: - Roberto? E lei gli ha risposto: - Si. – Alessandro e´ corso a telefonare qui a casa. Gli ha risposto una zia. – Dimmi solo se si o no – Si. – Mamma lo sa? – Si. – Passamela -. In quei momenti c´e´ anche una cosa: noi donne siamo, anzi dobbiamo essere le piu´ forti. Mio figlio era la´, a trecento chilometri di distanza. E non doveva temere per me. E allora mi ha detto: - Mamma, io volto la macchina e torno indietro. – Mi raccomando, non fare pazzie... Ti aspetto -.

La casa era piena di gente che mi stava a guardare: erano slaiti tutti gli inquilini del palazzo. Ormai ero sicura che Roberto era morto. Cristina, la ragazza di Roberto, era sola nella villetta al mare. Io non la potevo chiamare. Ho chiamato suo padre, che si chiama Roberto anche lui. Era in negozio.- Chiudo e corro da lei, - mi aveva subito detto. Anche a Cristina era successo quello che era successo a me: non le funzionava ne´ la radio ne´ la televisione. Non aveva notizie di Roberto, era inquieta. Esce fuori e va ad una cabina e mi chiama. – Saveria, non ho notizie di Roberto. Sono in pena. Lo hai sentito tu? Non mi funziona la radio, non mi funziona il televisore… sai qualcosa? – Bisogna che ci prepariamo a partire, perche´ Roberto e´ stato ferito. – Io me lo sentivo, - aveva risposto Cristina, - e´ tutto il giorno che sto male.Stamattina ho perfino dato di stomaco… - Ed in quel momento era arrivata la macchina di suo padre. Si e´ voltata, lo ha visto in faccia e l´ho sentita gridare: - Oh no, papa´, no! – E lui non aveva ancora aperto bocca…
Il ricevitore e´ caduto ed io mi sono ritrovata qui. C´era tutta quella gente, ed io desideravo solo che andassero via. Mi volevano aiutare, ma non potevano fare niente. Sei solo tu che devi parlare con te stessa. Le parole degli altri, gli interrogativi, non servono a niente. Io e la Cristina abbiamo pianto solo dopo alcuni giorni. E´ stata la cosa piu´ terribile. Avevamo un dolore che ci gelava dentro.

E cosi´ intanto Alessandro e´ tornato indietro. Non so come ha fatto, ma e´ tornato come un razzo. Non so a quanto e´ andato. Intanto era venuto un collega di Roberto, quello che era stato mandato in Sicilia con lui, dopo l´incidente con la macchina. Giacomino si chiamava. Giacomino era pietrificato. Giacomino e´ rimasto con noi tutta la notte. E´ venuto in Sicilia con noi. Senza mai mangiare ne´ dormire. E penso sempre a quando mio cognato stava giu´ al commissariato e sbatteva i pugni sul tavolo. – Mi chiami chi comanda questo posto di polizia! - gridava. E´ sceso qualcuno, un maresciallo forse. – Lei adesso telefoni al Ministero dell´Interno, e chieda cosa hanno fatto per mia cognata. – Ma io non ho avuto ordini… - Telefoni immediatamente! – Ha chiamato. Si erano dimenticati di noi.
Alle sette e mezza di sera e´ arrivato un colonnello, il comandante dal quale Roberto dipendeva. Aveva un figlio di 23 anni, poliziotto ed amico di Roberto. Ero riuscita a mandare via tutti, cosi´ ho apeto io la porta. Era in borghese, i capelli grigi, l´aria da poliziotto. – Io sono Caruso, - mi ha detto. – Sono venuto a dirle… - Piangeva. – E´ venuto a dirmi che Roberto e´ morto, vero? – Piangeva, ed io ero li´. Di pietra. Piangeva solo lui.

Le donne a volte piangono e gridano. E´ una questione di carattere. Ma io so che chi non piange e non grida muore dentro di dolore. Quando ti uccidono un figlio sparano anche su di te. A me avevano sparato con il kalashnikov, quel giorno. E poi le donne devono reggere la situazione. Devono organizzare tutto, anche quando succedono queste tragedie devono pensare a fare una camomilla, magari un po´ di brodo, a quelli che sono li´. E forse e´ anche qualcosa che ci aiuta, in quei momenti. Ci attacca alla realta´. La notte che e´ morto mio marito, alle tre di mattina, me lo sono vestito io. Mi erano gia´ morti mio padre e mia madre fra le braccia: io non ho paura della morte. Quello che e´ terribile e´ la morte cosi´, la morte violenta. E poi quando ti muore un figlio. Quando ti muore un figlio e´ un parte di te. Ha le radici dentro di te, un figlio.

Quella sera comunque la radio ha ripreso a funzionare. A me e a Cristina. Forse e´ stata una comunicazione, forse Roberto ci voleva proteggere…. Non lo so. Mio figlio Corrado e´ un miscredente, non crede ai miracoli. Eppure lui e´ sicuro che e´ stato Roberto. – Ha risparmiato te e Cristina, - diceva. – Perche´ tutte e due eravate sole. E´ come se la sua forza fosse venuta da voi. Evidentemente il suo ultimo pensiero e´ stato per voi.
Dopo, e´ stato tutto un incubo. Siamo arrivati alle cinque e mezza di mattina a Fiumicino. Non si erano neanche ricordati di prenotare i posti… Mio figlio per fortuna aveva una carta di credito, ed ha pagato lui i biglietti per sei persone. Siamo arrivati a Palermo ed io volevo subito andare da mio figlio, avevo portato con me i vestiti per Roberto. Pero´ loro non sapevano che ero cosi´… ed hanno preso Cristina, quella povera ragazzina, e l´hanno portata a vedere il corpo di Roberto all´obitorio. Sopra una lastra di marmo, coperto solo da un lenzuolo. Lei ne rifiuta il ricordo ancora oggi. Perche´ le pareva che non fosse piu´ lui. A me invece hanno mentito: io sapevo come voleva essere vestito, volevo aver cura di lui, io, per l´ultima volta. Invece si sono fermati davanti all´ospedale e mi hanno detto: no, lo hanno gia´ portato via. E non era vero.

Mi hanno tolto una cosa importante, molto importante. Perche´ il figlio me lo ero fatta io, e lo volevo comporre io: era un patto che avevamo fatto noi due, che non avevamo paura della morte. Ne´ lui ne´ io. Ci eravamo promessi che il primo a cui fosse toccato, l´altro lo avrebbe preparato per l´ultima volta. – Se mi ammalo - gli avevo detto - tu devi venire a tenermi per mano -. Ma lui mi aveva risposto che faceva il poliziotto. – E allora puo´ capitare che mi sparino… Se mi succede qualcosa comunque voglio te. Perche´ noi due non abbiamo paura della morte -. A quel poliziotto che mi ha mentito io gli voglio bene da una parte ma non riesco piu´ a vederlo… L´ho incontrato, una volta o due. Ed io gli volevo dire: - Non sai cosa mi hai tolto tu -. Lui lo ha fatto per proteggermi, perche´ ha pensato che per una mamma vedere il figlio morto all´obitorio e´ un dolore troppo grande. Ed invece adesso e´ come se ci fosse un buco vuoto, perche´ quando ho rivisto roberto altre amni lo avevano gia´ composto in una bara, vestito da poliziotto. Da allora comunque Roberto e´ sempre con me. Ci parliamo, facciamo le cose insieme. E´ per questo che sono riuscita a fare tutto quello che ho fatto, a parlare in pubblico, a lavorare. Una parte di me, anche oggi, continua a disperarsi come allora. Ed un´altra parte invece, fa, lavora, e´ molto lucida.
Ricorda tutto, sostiene tutte le fatiche".




INES TABUSSO